Dopo la Grande Guerra gli Stati Uniti prima promossero la costituzione della Società delle Nazioni, antesignana dell’ONU, poi rifiutarono di farne parte. Non mi stupirei se allora avessero anticipato quelle che sono discrasie e falle dell’attuale bordellone incistato nel Palazzo di Vetro. Un consesso ove i ruoli di vertice – col meccanismo di “uno vale uno” – vengono dati a chi non appartiene ai paesi più forti, che non a caso si son riservati questa volta il seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza. Almeno con una bella porcata di veto possono bloccare altre porcate.
Questa premessa per spiegare che la posizione di vertice di Francesca Albanese, “Relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati”, non è patente di trasparenza e terzietà. A quel posto si accede su nomina che tiene conto di equilibri politici interni al piuttosto opaco Palazzo di Vetro, in cui il voto dei paesi arabi, o anti-USA, ha il suo ruolo. Non è un caso se gli USA siano i principali debitori dell’ONU, e se a più riprese facciano sapere di non intendere saldare il conto: francamente assurdo pagare, per dover subire decisioni contrarie ai propri interessi, al netto del solo diritto di veto. Ovvio che gli USA non diano truppe all’ONU, sapendo di doverle mettere al comando di un generale – con tutto il rispetto – Indonesiano, Finlandese o Ugandese. Perché sarà uno di questi a dirigere l’operazione di pace. Sottolineo che non conferisco alcuna patente di “giustizia” a questo o a quel comportamento, e mi limito a descrivere cosa succeda nella pratica.
Ritengo pertanto che l’Albanese abbia il diritto di dire ciò che crede sul conflitto arabo-israeliano, e dirci che la colpa sia da una sola parte. Ma al tempo stesso che il suo sia giudizio di parte. Il suo curriculum allinea, fra l’altro, “consulente senior sulla migrazione e gli sfollamenti forzati” presso la ONG Arab Renaissance for Democracy and Development (ARDD). E nell'ARDD è stata cofondatrice della "Rete globale sulla questione palestinese". All’ONU, considerate le sue idee, stava in un ventre di vacca, bastava non pigiasse l’acceleratore.
Come spiegare allora la recrudescenza delle sue esternazioni? Semplice, è l’effetto-Salis, o Rakete, o Lucano. Sa di essersi sovraesposta, che all’ONU difficilmente vedrà rinnovato l’incarico, essendo uscita dall’asettico appeal dei funzionari di professione, che non si sbilanciano troppo che-non-si-sa-mai. Ma è giovane e deve trovarsi un altro posto, e allora punta al seggio a Bruxelles o in Parlamento, naturalmente con AVS. Dopo sta a posto.
Non è un caso che dopo il suo virulento attacco alla senatrice a vita Liliana Segre, definita da lei inattendibile nei giudizi sul conflitto che tanto le sta a cuore, il Corriere della Sera – noto per posizioni sicuramente non destrimani – l’abbia bacchettata. Del resto se la Segre, ebrea e sopravvissuta ai lager, non può essere imparziale, c’è da chiedersi se possa rivendicare tale qualità una persona che l’ha sempre pensata – legittimamente sia chiaro – in altro modo.
Il guaio, a mio avviso, è che tutti questi “personaggi in cerca di un seggio” comprendano benissimo che non è attraverso l’aizzare le micro-masse devastatrici che giungeranno mai a governare, prevalendo in una società l’elemento moderato. Sanno però che fino a che manterranno alto il livello dello scontro verbale, in un mondo che si ciba di rabbiose condivisioni social, raccatteranno almeno i voti degli arrabbiati, che ci sono sempre. E il seggio – appunto – è assicurato. Alla fine sorge pure il dubbio se credano davvero a ciò che dicono, ma questa è un’altra storia.
In questa chiave interpreto la violenta tirata d’orecchi al sindaco di Reggio Emilia, reo d’aver auspicato il ritorno a casa degli ostaggi israeliani. In quanto appartenente a quel mondo ovattato, magari un po’ ipocrita, della diplomazia, l’Albanese sa che le regole del gioco istituzionale prevedono la fine di ogni atto offensivo. E come docente di Diritto Internazionale sa pure che gli ostaggi non si possono prendere. Ma se vuole quei maledetti, sporchi, voti (e subito), deve disprezzare la vita degli ebrei in mani di Hamas, che deve spiegare “vada capito”, e deve allontanarsi schifata da chi provi a proporre un’interlocuzione con la sopravvissuta di un genocidio.
Si potrebbe replicarle che alla fine 6milioni son più di 60mila.
In sintesi: giusto che faccia i fatti propri e ciò che le consente di star meglio. Giusto pure che si provi a capire perché lo faccia, non abboccando all’amo.